GUIDA ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE PER I LAVORATORI DIPENDENTI

Un giovane che ottiene oggi il tanto ambito posto fisso ha molti motivi per cui festeggiare. Inizierà col pensare a come re­alizzare i propri sogni (casa, matrimonio, viaggi, figli) mentre la prospettiva della futura pensione non sarà certo una delle sue priorità. Difficile stare dietro alle previsioni che spostano sempre più in là il momento della pensione (per chi entra oggi nel mondo del lavoro se ne parla dopo il 2060, secondo le stime della Covip) o al fatto che ammonterà a circa la metà dell’ultimo stipendio. È qui che devono entrare in scena i genitori, ricordando che il futuro va costruito giorno per giorno e per aiutare i figli a districarsi tra le tante proposte di prodotti finanziari.

 

Le forme di previdenza complementare: quale scegliere?

Per mantenere anche negli anni del ri­poso un reddito adeguato è evidente quanto sia importante aderire a una forma di previdenza complementa­re. Facciamo allora un po’ di chiarezza sulle opzioni per un lavoratore dipen­dente. Nella prossima newsletter ap­profondiremo le opportunità pensio­nistiche per chi fa lavori “intermittenti”.

  1. I fondi pensione negoziali (o chiu­si): sono istituiti dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione na­zionale, di settore o aziendale. Vi si può aderire solo in forma collettiva versando il contributo previsto dal proprio contratto. In questo caso il datore di lavoro ha l’obbligo di versare anche il suo contributo al fondo nego­ziale al quale il lavoratore ha aderito.
  2. Un’altra opzione per il lavoratore dipendente è rappresentata dai fon­di pensione aperti: creati e gestiti da banche, società di gestione del ri­sparmio, società di intermediazione mobiliare e imprese assicurative. L’a­desione è consentita oltre che su base individuale anche su base collettiva.
  3. In ultimo, i Piani Individuali Pen­sionistici: sono forme pensionistiche complementari individuali realizzate attraverso contratti di assicurazio­ne sulla vita finalizzati alla creazio­ne di una pensione complementare. L’adesione al PIP avviene solo su base individuale.

Il dipendente privato può aderire al fondo pensione aperto anche su base collettiva, qualora tale tipo di adesione sia prevista dai contratti di lavoro, dagli accordi collettivi o dai regolamenti aziendali; i dipendenti pubblici, invece, possono aderire a un fondo aperto o a un PIP solo su base individuale e possono versare solo il contributo individuale, ma non il flus­so di TFR.

 

Come funziona un fondo pensione chiuso

La contribuzione a un Fondo pensione chiuso è costituita da tre elementi:

  • Il contributo del lavoratore, il cui importo minimo è stabilito dagli ac­cordi collettivi vigenti, ma che può essere incrementato per aumenta­re la pensione futura;
  • La quota di TFR nel caso si sia deciso di destinarla a un fondo pen­sionistico complementare;
  • Il contributo del datore di lavoro.

La futura pensione sarà calcolata sulla base del montante costituito dai ver­samenti dei contributi sopra citati e dai rendimenti degli stessi maturati nel tempo e conseguiti tramite il loro investimento in strumenti finanziari.

 

Come funziona un fondo pensione aperto

Il lavoratore dipendente che aderisce a un fondo pensione aperto su base individuale può scegliere l’importo e la periodicità dei versamenti, per esem­pio decidendo di versare solo il TFR. Se aderisce invece su base collettiva, l’importo minimo della contribuzione è stabilito dagli accordi o dai contratti collettivi ed è prevista la possibilità di versare di più. Chi versa il proprio con­tributo ottiene anche quello del datore di lavoro. Il contributo versato dal da­tore di lavoro è un elemento da valuta­re con attenzione: a parità di condizioni – secondo stime della Covip – consen­te di ottenere una pensione comple­mentare più alta anche del 17%.

Per una proiezione della futura pensio­ne per noi o per i nostri figli, Unipolsai mette a disposizione Pensione On Line Su Misura, uno strumento pensato ap­positamente per aiutare a individuare il prodotto previdenziale più adatto e fornire un’indicazione dell’evoluzione nel tempo del piano pensionistico.

 

Il TFR come fonte di finanziamento

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) rappresenta una significativa fonte di finanziamento della previden­za complementare: per questo è im­portante decidere consapevolmente a riguardo. Un dipendente privato, entro 6 mesi dall’assunzione, deve scegliere se destinarlo alla previdenza comple­mentare o lasciarlo in azienda. Se la scelta non viene effettuata esplicita­mente, il datore di lavoro trasferisce il TFR nella forma pensionistica colletti­va prevista dagli accordi o dai contratti collettivi o, in caso di più forme pensio­nistiche, in quella cui ha aderito il mag­gior numero di dipendenti.

 

Vantaggi fiscali e sostegno nei momenti critici

Non vanno dimenticati gli immedia­ti vantaggi fiscali: aderire a un fondo pensione comporta infatti la possibilità di dedurre fino a € 5.164,57 all’anno du­rante la fase di contribuzione. E i rendi­menti sono tassati al 20%.

Al momento della pensione, le presta­zioni erogate saranno tassate con un’a­liquota del 15%, ridotta di una quota pari allo 0,30% per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari; in questo modo l’aliquota può essere ridotta fino a un minimo del 9%.

La previdenza complementare rappre­senta poi un “paracadute” in caso di ne­cessità. Per spese sanitarie, del lavo­ratore, del congiunto o dei figli, si può ottenere un anticipo della prestazione fino al 75% del montante accumulato.

Trascorsi 8 anni dall’iscrizione alla for­ma di previdenza complementare, è possibile richiedere un’anticipazione per un importo non superiore al 75% della posizione individuale maturata per l’acquisto della prima casa di abita­zione per sé e per i figli o per la ristrut­turazione della stessa: una casa tutta per sé diventa un sogno più concreto.

È prevista infine la possibilità di ri­scatto prima della maturazione dei re­quisiti pensionistici: nei casi più gravi sarà possibile riscattare totalmente l’intera posizione individuale accu­mulata – per esempio per cessazione dell’attività lavorativa che determini inoccupazione per un periodo supe­riore a 4 anni e invalidità permanente che comporti la riduzione della ca­pacità di lavoro a meno di un terzo – sarà, invece, possibile riscattare fino al 50% di quanto accumulato, nel caso di inoccupazione compresa tra 12 e 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da par­te del datore di lavoro a procedure di mobilità e cassa integrazione ordina­ria o straordinaria.

Gli strumenti per costruire giorno dopo giorno una stabilità economica che non diminuisce nel tempo ci sono: pensiamoci sin da ora indirizzando i nostri giovani affinché possano af­frontare serenamente ogni fase della propria vita.